Lo chiamavano Jeeg Robot, la recensione senza spoiler

Da quanto tempo (e ancora) è che si giocava, noi tutti, con l’idea di un super-eroe italiano? Che si sognava una trasposizione tricolore delle avventure degli eroi in calzamaglia, che fosse però credibile in un contesto familiare come il nostro? Qualcosa di diverso da un semplice Capitan Pizza, SuperMandolino? Dopo aver visto naufragare Il ragazzo invisibile di Salvatores in quell’incerto ma visibilissimo mix di materiale da fiction, film per rEgazzini e idee fuori posto, hai iniziato a pensare non fosse possibile riuscirci. Se non era in grado Salvatores, con quel budget, chi vuoi mai che. Così, quando hai sentito parlare per la prima volta di Lo chiamavano Jeeg Robot, il nuovo film di Gabriele Mainetti (Basette, Tiger Boy), quando hai letto che si trattava di una pellicola incentrata su un tizio romano con i super-poteri, oltre che con il nome d’arte ingombrante di un mito della tua infanzia, ti sei detto Vabbè. Sarà. Fast forward a ieri sera, a quando cioè, dopo aver bucato la proiezione alla scorsa Lucca, hai potuto finalmente vederlo, con qualche giorno di anticipo - arriverà in sala giovedì prossimo, il 25 febbraio. Molliamo il tasto del ffwd in quel momento esatto lì, con te davanti allo schermo ancora spiazzato, mentre scorrono i titoli di coda, con le note di quella cover. Mentre cerchi di trovare un aggettivo in grado di riassumere tutto il film, ma ti si continuavano ad accavallare nella testa i seguenti, senza un ordine preciso: ironico, drammatico, brutale, tenero, feroce, vero. Ah, sì, e anche bellissimo […]
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